Uscirà ufficialmente il 2 febbraio “Mike Nichols. A life“, la biografia ufficiale di Mark Harris sul talentuoso regista, comico e produttore di origini russe ma naturalizzato statunitense.
Dopo tre anni e mezzo di ricerca e attingendo a numerosi documenti, comprese oltre 250 interviste con chi lo conosceva bene, Harris ricostruisce la vita e la carriera singolari di Nichols, dalla sua infanzia di immigrato ebreo tedesco di origini russe a Chicago fino al giorno in cui è morto, nel 2014, a 83 anni.
Dopo lo sfolgorante esordio con il pionieristico duo comico con la cabarettista Elaine May tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, Nichols approda come regista a Broadway con quattro spettacoli di successo in cartellone contemporaneamente (tra cui “A piedi nudi nel parco” del 1963 e “La strana coppia” del 1965).
Da lì a poco il debutto al cinema appare scontato. Il primo film è del 1966 (“Chi ha paura di Virgina Woolf?“), al quale seguiranno pellicole indimenticabili come “Il Laureato“, “Silkood“, “Una donna in carriera” o “Closer“.
Del 2003 è invece il premiato adattamento televisivo per l’HBO dell’opera Premio Pulitzer “Angels in America” di Tony Kushner, che per altro è stato per 18 anni il marito dello stesso Harris.
Il dono di Nichols come regista era la sua capacità di individuare i più piccoli e malinconici dettagli che componevano un suo personaggio.
Era forse la sua goffaggine a renderlo vigile nello studio continuo e silenzioso del comportamento umano.
Harris non rinuncia ad indagare a fondo, in questa biografia, nel lato maniacale del regista, quello che negli anni Ottanta lo condurrà a essere per un periodo a essere dipendente dalla cocaina e dal crack.
Uomo inquieto e difficile da conoscere, Nichols si è sposato quattro volte anche se la donna della sua vita rimane la sua ultima moglie, la nota giornalista Diane Sawyer.
In merito al libro, Mark Harris ha rilasciato a Variety una toccante dichiarazione sulla complessità del brillante regista:
“La grande scoperta per me è stata quanto dolore e lotta si nascondessero dietro quel feroce sforzo di essere chi era. Come dice a un certo punto nel libro, penso a George Segal: ‘Mi ci vogliono tre ore per diventare Mike Nichols ogni giorno’. Bene, immagina quando non sei Mike Nichols, la persona famosa che tutti vogliono conoscere, ma quando sei un bambino, o un adolescente che si mette una parrucca e le sopracciglia ogni giorno e spera di mimetizzarsi come immigrato, e sei alle prese con la perdita di tuo padre e con una madre con la quale hai un rapporto molto burrascoso e senza sapere veramente cosa vuoi fare della tua vita, o se potresti essere in grado farlo. C’è molta felicità nel libro, ma quella di Nichols una storia più triste di quanto pensassi quando ho iniziato a lavorarci.”
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— Mark Harris (@MarkHarrisNYC) October 6, 2020
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